Sui fashion show di Londra, Milano e Parigi cala il sipario martedì 6 ottobre. Un’altra tornata di presentazioni moda sta per concludersi, certamente tra le più fragili e che si siano mai viste.
Se il mercato globale dei beni di lusso nel 2019 ammontava a 281 miliardi di euro, ma il bottino non sarà altrettanto ricco quest’anno. Anche se non peggiore della crisi finanziaria del 2008 sotto il peso della pandemia sono crollate le vendite, si sono deteriorate le catene di approvvigionamento e abbiamo assistito al pauroso spettacolo di fallimenti di brand di risonanza internazionale.
Per questo si sollevano ora interrogativi ineludibili sul modello di business sino ad oggi praticato nel tessile-abbigliamento: mentre in campo (o sarebbe meglio dire nell’arena) si sono intanto affacciati nuovi competitor capaci di crearsi spazi impensabili in precedenza. Esattamente come sta accadendo con i Luxury stores proposti da Amazon o le piattaforme per vendere e comprare abbigliamento usato di Zalando, il più grande e-commerce europeo del genere.
Il primo quesito è il seguente: il futuro della moda deve necessariamente ricalcare il suo passato, durante il quale centinaia di collezioni sono state proposte immancabilmente ogni sei mesi presentando ogni volta migliaia di “nuovi” pezzi destinati a sostituire immediatamente quelli appena acquistati? È davvero questo il modo per superare la crisi in atto? Ed è tutto questo compatibile con l’inarrestabile crescita della popolazione sul nostro fragile pianeta?
Sulla piattaforma approntata dalla Camera Nazionale della Moda Italiana per l’ultima fashion week milanese restano visibili tre interviste raccolte Alan Friedman rivolte rispettivamente a Renzo Rosso patron del gruppo Only the brave (Diesel, Marni, Maison Margela…), Michele Norsa (executive vice president di Ferragamo) e Donatella Versace: personaggi assai diversi tra loro che pure qui parlano a cuore aperto. Si esprimono tutti con parole sincere (il che fa loro onore) e insieme decisamente preoccupate. Stiamo parlando di player personaggi con una grande esperienza che difatti rivelano capacità di analisi e una positiva voglia di reagire senza però nascondersi dietro una foglia di fico.
Perché è evidente che la pandemia ha accelerato la crescita di problemi già esistenti a cui occorre trovare rimedio: primo fra tutti proprio quello che ha a che fare con la sostenibilità delle produzioni che stanno dietro a d abbigliamento e accessori.
Non è un segreto per esempio che la GenZ (i nati tra la fine degli Anni 90 e il 2010 ) in combinazione con i Millennial (nati tra il 1981 e il 1996), entro il 2025 rappresenterà il 60% del mercato mondiale. Le loro preferenze di stile includono il mixaggio e il riciclo con un’attenzione particolare per la sostenibilità e le pratiche etiche dei produttori. La Gen Z è inoltre la prima completamente digitale: oltre il 70% qui usa Instagram quotidianamente (contro il 37% di media). È anche la prima generazione in cui la maggioranza preferisce fare shopping online. Sarà assai difficile vendere a costoro (come la maggior parte dei media italiani si ostinano a fare) “bellezza”, “eleganza”, “emozione”, “sogno” a fondo perduto…
Nel suo ultimo rapporto sugli utili trimestrali, LVMH (la più potente tra le conglomerate del lusso) afferma di aver assistito nel secondo semestre del 2020 a un forte aumento delle vendite in paesi come la Cina continentale, il Giappone e la Corea del Sud, dove il virus è sembrato in quel periodo più sotto controllo; ma le vendite per le sue unità moda sono diminuite in ogni caso complessivamente del 37%, a causa del blocco del turismo internazionale.
Con l’arrivo dei lockdown i marchi del cosiddetto “lusso” sono stati costretti a velocizzare le loro strategie digitali e ovunque, la vendita al dettaglio offline si è forzatamente spostata online ad esempio e per tutti: GenZ, Millennials e Boomers senza esclusione.
Farfetch, il mercato digitale che consente ai fornitori esclusivi di vendere i propri prodotti online, il mese scorso ha riferito di aver visto un aumento del traffico del 60% per il secondo trimestre rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso e aver acquisito 500.000 nuovi clienti.
A Donald Trump non piace TikTok? Importa poco, la piattaforma cinese ha ospitato il proprio mese della moda online per un pubblico potenziale di circa 800 milioni di utenti, offrendo tra le altre esibizioni come quelle di Saint Laurent (che ha abbandonato le fashion week tradizionali) e JW Anderson e Balmain: la realtà evolve veloce ne pure questo settore ha bisogno di ripensarsi completamente.