Il pane di Vicovaro… un’eccellenza ritrovata.

A narrarci la storia di questo pane storico finito sostanzialmente nellʼoblio, è Luigi Rinaldi, maestro della scuola elementare di Vicovaro e figlio di fornaia. Innamorato del pane e dei suoi molteplici significati, tempo fa decise  di svolgere una ricerca che dura ormai da qualche anno, incontrando persone anziane o meno che, a vario titolo, hanno contribuito con la loro attività a far conoscere questo meraviglioso alimento, fatto da mani semplici e allo stesso tempo sapienti, portavoci di una cultura secolare tramandata da generazione in generazione. Un prodotto che fino agli anni ʼ70 era uno dei grandi pani del Lazio, poi, però, è scomparso dall’orizzonte alimentare ma soprattutto è mancato all’economia, alla cultura e alle colture di tutto il quadrante a est di Roma. Sul finire del ʻ900, intorno ai diciannove forni attivi che producevano oltre duemila pagnotte al giorno, ruotava qualcosa come il 30% delle popolazione di Vicovaro.

Il territorio della Valle dell’ Aniene, strutturalmente vocato ad una marginale agricoltura collinare e di montagna, dagli anni ’50 ha visto tale marginalità ridotta pressoché all’ inconsistenza, è accaduto in tutta Italia, in Europa, nel mondo: l’agricoltura locale fatta di piccoli appezzamenti, borghi e comunità locali, di artigianato e agricoltura di prossimità ha inevitabilmente ceduto il passo all’ urbanizzazione. Nella Valle dell’ Aniene farro, orzo, segale e grano duro hanno sostenuto materialmente e culturalmente intere generazioni: colture abbarbicate su campetti sottratti con caparbietà a sassi e neve (e animali concorrenti), sono state la vera ricchezza di popolazioni che hanno avuto un saggio rapporto col territorio. Il pane di Vicovaro, condivide con buona parte dei pani dell’Appennino Centrale – dal “pane cafone” campano a quello “acido” abruzzese – soprattutto una storia fatta di coltivazioni su piccoli appezzamenti e moliture locali in impianti spesso mossi da canalizzazioni di ruscelli. Poi i vari pani della “dorsale appenninica” hanno diverse declinazioni produttive, anche se a volte difficilmente distinguibili: sono tutti figli di quell’ agricoltura, di quell’ artigianato, di lievitazioni acide, della povertà.

Purtroppo attualmente, anche  nel bacino dell’ Aniene operano pochi mulini direttamente connessi all’ agricoltura locale ma l’obiettivo è riportare i giovani, a investire le proprie risorse e speranze in questo settore, di recuperare l’intera filiera produttiva che un tempo animava Vicovaro e la Valle dell’ Aniene a partire dal recupero dei vecchi forni. Crediamo che la filiera del valore del  pane visto come “distretto rurale”, possa fornire grandi pani ma soprattutto energie e ricchezza a territori marginali quali quelle delle aree interne perché le attività agricole e artigianali possono essere non solo  nobili e  nobilitanti, ma anche economicamente soddisfacenti e redditizie. Partendo dalla salvaguardia di un primo forno storico, va tracciato un  modello, anche dal punto di vista imprenditoriale e commerciale  affinchè, come per  il pane di Vicovaro, possa diventare una nuova occasione di occupazione e reddito affinché  i giovani  non debbano necessariamente abbandonare le aree interne, ed il prodotto del loro reddito possa  tornare fruibile nella contermine area metropolitana di Roma e Tivoli (naturali bacini d’utenza) proponendosi ai consumatori romani come il “pane di casa”, vale a dire un cibo prodotto con criteri etici familiari: sensato rapporto con la terra e oculata gestione di farina e lieviti (a pasta acida)”.

In questo prodotto senza tempo possiamo trovare una grande opportunità: quella di riscoprire le nostre origini e i sapori del passato che ci hanno dato delle radici, una storia, e ora può persino donarci un futuro, naturalmente a misura d’uomo.

 

 

 

 

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