Avvocato paralizzato per la caduta in Procura Nessuno a processo

Milano, precipitò da un parapetto non a norma. I pm di Brescia archiviano magistrati e ministero.

CORRIERE DELLA SERA –  06 giugno 2020

All’interno dei Palazzi di Giustizia italiani — è la tesi della Procura di Brescia competente sulle gravi lesioni riportate da Antonio Montinaro, il 32enne avvocato paralizzato a seguito della caduta il 18 gennaio 2019 dal troppo basso parapetto della scala Y del 4° piano della Procura di Milano — un conto sarebbero gli spazi adibiti ad attività giudiziaria, luoghi di lavoro nei quali le violazioni delle norme sulla sicurezza antinfortunistica potrebbero essere in ipotesi ricondotte alla responsabilità dei capi degli uffici giudiziari quali «datori di lavoro»; e un altro conto sarebbero gli spazi comuni (come scale e pianerottoli), non adibiti ad attività giudiziaria, che esulerebbero dall’ambito dei capi-ufficio per ricadere invece nella sfera di competenza dell’«ente proprietario».

In base a questa interpretazione la Procura di Brescia chiede l’archiviazione dell’ipotesi di reato per la quale (senza che si fosse saputo) aveva indagato, come posizioni di garanzia, sia i capi degli uffici giudiziari (il procuratore Francesco Greco, la presidente della Corte d’Appello Marina Tavassi, l’allora procuratore generale Roberto Alfonso, il presidente del Tribunale Roberto Bichi), che dal 2015 avevano più volte scritto al ministero della Giustizia sull’urgenza di mettere in sicurezza i tanti parapetti alti appena 75 centimetri; sia l’allora direttore generale delle Risorse materiali del ministero, Antonio Mungo.

E l’«ente proprietario», non specificato dall’archiviazione? Nello stratificarsi di norme parrebbe appunto non dover essere identificato nel ministero della Giustizia, dal 2015 subentrato ai Comuni nel pagare le spese di funzionamento dei Palazzi di Giustizia, ma non «proprietario» degli immobili, che invece nelle varie città appartengono o al Comune o (come a Milano) all’Agenzia del Demanio sottoposta agli indirizzi del ministero dell’Economia. Ma la pm Ketty Bressanelli, il procuratore aggiunto (a lungo reggente l’ufficio) Carlo Nocerino e il neoprocuratore Francesco Prete non procedono a indagare altri soggetti perché la ritenuta distinzione tra luoghi di lavoro giudiziario e spazi comuni comporta che — diversamente dalla procedibilità d’ufficio degli infortuni nel primo caso (quelli con i capi-ufficio teorici «datori di lavoro» ai fini della sicurezza sul lavoro) — l’infortunio in uno spazio comune (la scala) sarebbe invece procedibile per legge solo su querela della parte offesa. Che però non c’è, perché non fu sporta nel 2019 dai legali dell’avvocato.

All’epoca, infatti, e già nella visita a Milano subito dopo il dramma, il Guardasigilli Alfonso Bonafede aveva assicurato che il ministero (che ha poi stanziato 650.000 euro per la sicurezza delle balaustre) sarebbe stato vicino allo sfortunato avvocato. In effetti il suo legale Gian Antonio Maggio conferma che via Arenula, in attesa dello stabilizzarsi dei danni, ha sempre manifestato totale disponibilità a risarcire Montinaro (in via diretta, non esistendo copertura assicurativa).

Tuttavia l’intento non si è ancora tradotto in concreto, anche per le remore di Avvocatura dello Stato e Corte dei Conti a esborsi (qui sarebbe una cifra tra 1,2 e 2 milioni) in assenza di titoli esecutivi. Il legale dell’avvocato ha proposto un negozio ricognitorio di debito (cioè un atto con il quale il debitore riconosce il debito a seguito di una transazione), ma sinora senza risultati, e spiega quindi di stare per instaurare un’ordinaria causa civile.

Più in generale sarà interessante vedere l’esito della richiesta di archiviazione. Sia sulla distinzione spazi di lavoro/spazi comuni, già non intuitiva in una scala, specie se come qui a due passi (e quindi per forza percorsa) per accedere ad esempio all’Ufficio deposito atti. Sia sulla possibilità che «datori di lavoro», negli spazi adibiti a funzioni giudiziarie, siano considerati quei capi-uffici che rimarcano invece di non avere gli «autonomi poteri decisionali e di spesa» che per legge identificano il datore di lavoro.

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