DON LUIGI DI LIEGRO IL SACERDOTE DEL FARE

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L’unico valore assoluto è la dignità umana, è la libertà di ogni uomo. Ogni uomo va liberato, ogni uomo è una strada che in qualche modo conduce a Dio”.
Queste erano parole di Don Luigi di Liegro e bene riassumono il pensiero che sempre ha guidato le sue opere; già le opere, perché Don Luigi fu quello che potremmo tranquillamente definire “il sacerdote del fare”, che accompagnava alle parole anche tanti, tantissimi fatti. La sua fu una continua battaglia che richiamava severamente i poteri alle loro responsabilità, ben lontana da una concezione pietistica e individuale della caritas cristiana: “Lo straniero – e certamente lui intendeva ogni straniero, cioè ogni “allontanato” dalla convivenza civile – resterà tale, e quindi facilmente oggetto di attacchi, fino a quando il sistema giuridico e sociale non ne favorirà l’inserimento”, scrisse in un suo libro .

zzzzzzzzzzzdiliegroLuigi Di Liegro nasce a Gaeta, in provincia di Latina, il 16 ottobre 1928, ultimo degli otto figli di una famiglia di pescatori. Il padre, lo zio e i fratelli dovettero emigrare in America, a Boston, la pesca offriva troppo poche garanzie. Per Luigi, che era molto affezionato alla sua famiglia, questi distacchi furono sempre dolorosi. “Sono figlio di un emigrato, per giunta illegale, di un lavoratore entrato clandestinamente negli Usa: non se vergognava lui, non mi vergogno io dei sacrifici fatti da mio padre in terra straniera. E’ un’impronta esistenziale che non può fare a meno di orientare le mie considerazioni. Mio padre, Cosmo, emigrò più volte. Una volta cercò di imbarcarsi da clandestino. A Rotterdam fu pizzicato dalla polizia e tornò a Gaeta. Mia madre aspettava un figlio. Quando lo vide le prese un colpo e svenne: aveva dovuto fare sacrifici enormi per farlo partire. Quel colpo fu così forte che mia madre perse il bambino. A quei tempi, se succedevano cose del genere, si faceva un altro figlio e così nacqui io. Per mio padre ogni viaggio fu una storia di umiliazioni, di paure, di rabbia. Tornava piegato dalle delusioni. A chi non conosce le sofferenze degli immigrati dico sempre che nel mondo ci sono disseminati ben 5 milioni di italiani”.
Quando Luigi, molto precocemente, manifestò l’intenzione di andare in seminario, il padre Cosmo si oppose fieramente. Allora lui scappò e andò a Roma, dove condusse i suoi studi e realizzò il proprio destino. Don Luigi si laureò in filosofia e teologia e venne ordinato sacerdote nel 1953. Il primo incarico affidatogli, in una zona molto difficile, fu quello della Parrocchia di S. Leone I Prenestino.

Nel 1964 ricevette la nomina di responsabile dell’ufficio pastorale della diocesi. In seguito, nel 1973 venne investito Cappellano di Sua Santità. La cosa curiosa è che la carica prevedrebbe l’appellativo di Monsignore, appellativo da lui sempre schivato in quanto non voleva che i suoi poveri lo potessero sentire in qualche modo “distante”.

Nell’anno 1973 Don Luigi organizzò insieme al Cardinal Poletti il famoso convegno sui mali di Roma: “La responsabilità dei cristiani di fronte alle attese di giustizia e di carità nella diocesi di Roma”. Iniziato il 12 febbraio nella basilica di S. Giovanni in Laterano, il convegno mise in luce e denunciò le debolezze e le mancanze di Roma come città, insieme a coloro che ne erano stati responsabili.
In quel periodo inoltre il Comune di Roma aveva iniziato la suddivisione del territorio comunale in venti circoscrizioni e Don Luigi aveva pensato che il decentramento amministrativo potesse essere una buona occasione per la chiesa per tornare a toccare il tessuto di base della società: girava continuamente per parrocchie, organizzava assemblee e incontri, viveva i quartieri toccando i veri problemi sociali del territorio, invitava tutti alla partecipazione attiva.

Nel novembre 1979 nacque la Caritas Diocesana di Roma e Don di Liegro ne divenne subito il direttore, o meglio, “l’anima”. Il progetto di Don Luigi è sempre stato quello di creare attraverso gli strumenti a disposizione “una carità che tende a liberare le persone dal bisogno e quindi a renderle protagoniste della propria vita”.
Don Luigi fece del suo ufficio un interlocutore decisivo della vita cittadina: giunte, realtà ecclesiali, forze civili e politiche dovevano confrontarsi con lui e con la sua strategia tesa ad alleviare le sofferenze degli esclusi. Mobilitando migliaia di volontari, la Caritas ingaggiò una vasta battaglia contro la povertà, l’emarginazione e l’indifferenza.
Sorsero centri di ascolto, un ostello, mense per i bisognosi.

Don Luigi però non si fermò a questo. Ritenendo che il povero non fosse solo un problema del cristiano, ma di tutte le istituzioni; richiamò continuamente la politica alle proprie responsabilità, invitando tutti a collaborare.
Nel 1983 i progetti di Don Luigi si concretizzarono con l’apertura di una mensa per i poveri, originariamente sita in via Manzoni e poi spostata nel luogo in cui attualmente opera, in via delle Sette Sale. Nel giugno del 1984 parte la mensa di Ostia e nel 1987 quella di Primavalle.
Sempre nel 1983, considerando che “la malattia è di per sé un elemento emarginante, soprattutto per chi non è in alcun modo tutelato”, la Caritas organizzò un servizio ambulatoriale di base per coloro che non godono dell’assistenza sanitaria pubblica e gratuita. Il servizio ancora oggi è attivo in un poliambulatorio con sede centrale in Via Marsala a cui fanno riferimento altre tre sedi distaccate.

Tutti questi gesti concreti di carità furono possibili grazie alla tenace dedizione del sacerdote. Facendo collaborare istituzioni, volontariato e aziende pubbliche e private si riuscì ad ottenere tutti questi risultati nella tutela delle frange più deboli del tessuto sociale del territorio romano.
Nel 1987 aprì l’ostello comunale per i senza fissa dimora nei pressi della stazione termini (in spazi concessi dalle F.S.) e nel 1988 venne inaugurato il pronto intervento sociale nell’ostello in via Marsala. Sempre grazie alla collaborazione con le Ferrovie dello Stato partì il progetto di mensa sociale, in grado di servire 800 pasti al giorno e tuttora in attività.

Nel 1989 l’attenzione di Don Luigi venne rivolta alla creazione del C.A.Gi. , il Centro Accoglienza Giovani, sempre in zona Termini, con la finalità di dare prospettive e speranza a tutti i giovani invisibili che vivono in una realtà di disagio e violenza. Nelle innumerevoli opere di Don Luigi non si può non annoverare la lotta alla piaga dell’usura con la nascita della fondazione “Salus Populi Romani”.

Era la seconda metà degli anni ottanta quando l’AIDS conobbe una forte espansione in tutto il mondo; l’Italia naturalmente non faceva eccezione. Don Luigi, attento a questo nuovo problema, promosse nel 1988 l’apertura di una casa famiglia per i malati nel parco di Villa Gori, nel quartiere Parioli. La reazione degli abitanti del ricco quartiere fu durissima. Don Luigi venne attaccato in modo pesante. “Lo sa – confidò una volta don Luigi ad un giornalista – che quando vado in autobus o in metropolitana devo mettermi gli occhiali da sole? E’ per non essere riconosciuto: spesso sono stato insultato e quasi aggredito”.

Ma l’AIDS non fu l’unica delle battaglie di Don Luigi negli anni novanta. Risolvere i problemi legati all’immigrazione, che tanto lo toccava a livello personale e familiare (tanto che spesso amava definirsi “figlio dell’emigrazione”), divenne uno dei suoi principali obiettivi, con l’apertura del Centro Ascolto Stranieri, tuttora in funzione. Se qualche passo verso l’integrazione a Roma si è fatto, lo si deve anche a Don Luigi e ai suoi volontari che per anni, in condizioni proibitive, hanno combattuto le loro grandi e piccole battaglie, battendo un difficile terreno di frontiera, con una paziente opera di assistenza e di informazione.

Purtroppo Don Luigi non parlava mai della propria salute. I tanti impegni e l’energia che sprigionava non lasciavano percepire i gravi problemi cardiaci che si portava dietro. Nell’estate del 1997, in seguito ad un affaticamento cardiaco, venne ricoverato a Roma, per poi essere trasferito poco dopo al San Raffaele di Milano. Il 12 ottobre 1997 ci lasciò.
Il 15 ottobre, Roma dette l’estremo saluto al “monsignore degli ultimi” con funerali grandiosi. Al saluto dei romani, si unì simbolicamente tutta la nazione attraverso il Presidente della Repubblica Scalfaro e quello del Consiglio Prodi, passati a S. Giovanni in Laterano a rendere omaggio al feretro poco prima dell’inizio della cerimonia funebre.